Salute, previdenza e disastri naturali. È in questi tre ambiti che, per il presidente dell’Ivass, le compagnie possono trovare le opportunità per rinnovare il loro modello di business. E darsi un ruolo forte nello sviluppo del Paese.
Negli ultimi dieci anni è andata crescendo, a livello mondiale, l’attenzione riservata al ruolo dell’industria assicurativa nell’architettura complessiva del sistema finanziario, ridisegnato dopo gli esiti catastrofi ci della crisi del 2007/2008. Un’attenzione che, naturalmente, riguarda anche il mercato italiano.
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Non a caso qualche mese fa Salvatore Rossi, nella sua qualità di presidente dell’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), nel corso di un convegno promosso dall’Associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito, affermava: «Le assicurazioni sono un attore fondamentale nell’economia di qualunque Paese avanzato.
Anche le imprese assicurative possono e debbono dare il loro contributo alla crescita economica, innanzitutto facendo il loro lavoro tipico che è quello di ridurre efficientemente i rischi degli attori economici».
Gli ultimi dati ufficiali di questa industria riferiti al contesto italiano del 2016 consegnano l’immagine di un settore con una raccolta (premi pagati) in arretramento dell’8,7% rispetto all’anno precedente (da 147 a 134 miliardi) con
investimenti complessivamente superiori agli 810 miliardi e fortemente concentrati nei titoli governativi (360 miliardi, pari al 44% del totale) con utili che sfiorano i 6 miliardi (quasi stazionari rispetto al 2015) e con un rendimento di capitale dell’8,6%.
Altro aspetto importante da sottolineare è la solidità patrimoniale di questa industria, come in più occasioni ha ricordato Stefano De Polis, nuovo segretario generale dell’Ivass, «con un Solvency 2 ratio pari al doppio rispetto ai requisiti regolamentari». Un aspetto certamente rassicurante, confermato dagli esiti degli stress test dell’istituto di vigilanza europeo, Eiopa. Partendo da questa foto d’insieme, occorre fare una precisazione per una valutazione complessiva adeguata di questa industria. Il calo dei premi è sicuramente dovuto al concorso di due cause: da un lato il calo dell’11% del comparto vita, concentrato in particolare nelle polizze a carattere finanziario (ma il 2017 potrebbe segnare un’inversione significativa di tendenza in questa area specifica). Dall’altro lato, si segnala un andamento negativo dell’Rc auto che, peraltro, non va accolto negativamente, essendo dipeso da una diminuzione dei prezzi, elemento di criticità a nostro sfavore nei raffronti internazionali.
Con un prezzo medio della polizza superiore ancora di 140 euro a quello di Francia, Germania e Spagna, anche se il divario risulta in ulteriore contrazione (oltre 260 nel 2011 e poco meno di 190 nel 2015).
Proiettandosi al futuro prossimo sono due i fattori su cui si concentra l’attenzione del management dell’industria assicurativa nazionale e internazionale e che rappresentano per loro altrettante sfide: il livello dei tassi di interesse decisamente basso di questi ultimi anni post crisi e l’innovazione tecnologica Certamente il primo elemento, in presenza di una politica di grande moderazione portata avanti, sia pure con modalità diverse sulle due sponde dell’Atlantico, schiude scenari in cui per vincere questa sfida non sono da escludere nuovi prodotti assicurativi, quali quelli che prevedono soglie di rendimento garantito più contenute da affiancare ai tradizionali prodotti con garanzia di restituzione integrale del capitale e rendimento minimo garantito. Il futuro prossimo
ci mostrerà chi anche in Italia con maggiore tempestività avrà saputo imboccare questa strada di nuove opportunità.
Quanto all’innovazione tecnologica, che così profonde trasformazioni ha già imposto al modello di business bancario nel nostro Paese, c’è da attendersi una vera e propria rivoluzione anche nel comparto comparto assicurativo. Come, infatti, non tenere conto della prorompente avanzata dell’innovazione tecnologia nei processi interni delle compagnie, del suo impatto nei sistemi di distribuzione, ma anche e soprattutto nella creazione di nuovi prodotti in relazione alla formazione di nuovi emergenti bisogni assicurativi?
È un interrogativo al quale l’industria assicurativa fornirà una risposta molteplice a seconda delle caratteristiche e delle dimensioni delle singole compagnie, ma che avrà come risultato finale una trasformazione profonda del modello di business assicurativo nel nostro Paese. Con la conseguenza di renderlo probabilmente assai più competitivo rispetto ai livelli attuali che ancora non ci situano in posizioni brillanti nei confronti internazionali. In questo scenario di nuove sfide che attendono le compagnie assicurative nazionali si profilano nuove tipologie di rischio, operativo, legale e reputazionale e sicuramente aumenta la concorrenza di soggetti particolarmente dotati sul piano tecnologico, ma diversi dalle tradizionali compagnie assicurative.
A fronte di questo scenario dagli elementi per certi versi inquietanti e comunque prodromico di nuovi equilibri, esiste un versante positivo di nuove opportunità da poter esplorare e cogliere da parte delle compagnie assicurative. In questo senso non mancano delle indicazioni utili da seguire, come nel caso del percorso delineato da Salvatore Rossi, quando, rimarcando che non si tratta di inventarsi inventarsi nuove competenze, quali quelle richieste per l’erogazione del credito alla clientela, fornisce spunti per aprirsi a nuovi ambiti operativi
con spirito di innovazione imprenditoriale.
Tre sono gli ambiti citati dal presidente dell’Ivass: salute, previdenza e disastri naturali; a dimostrazione di come la ricerca di nuove opportunità di business assicurativo non solo si possa tradurre in occasioni profittevolmente
allettanti per le singole compagnie, ma possa tradursi anche in un potente motore di sviluppo del paese, coinvolgendo nel loro complesso famiglie e imprese.
Partendo dal primo ambito, la salute, si accende un faro sulla situazione decisamente variegata del sistema sanitario pubblico, in cui, accanto a picchi di assoluta eccellenza, vi sono aspetti di bassa qualità delle prestazioni e difficoltà finanziarie rimarchevoli. Le assicurazioni in questo settore importante anche per l’economia del Paese (la spesa sanitaria ormai viaggi sui 150 miliardi di euro) possono contribuire a migliorare l’assetto complessivo della sanità privata con formule assicurative calibrate. Un esempio: nel caso socialmente
sempre più rilevante degli anziani non più autosufficienti, si potrebbe cominciare a pensare dall’età lavorativa a questo problema, «includendo l’assicurazione del rischio di non autosufficienza fra le materie oggetto di contrattazione collettiva».
Un secondo esempio, sempre nel campo della sanità, può essere quello dell’assicurazione dai danni causati da errori medici; un aspetto divenuto di ancor maggiore attualità alla luce dell’approvazione della legge 24 dello scorso marzo sulla sicurezza delle cure e della responsabilità professionale del personale sanitario. Quanto alla previdenza, stante la situazione del primo pilastro della previdenza pubblica obbligatoria, con una evidente riduzione delle prestazioni pensionistiche, e un secondo pilastro contrassegnato da risorse gestite da fondi negoziali e aperti di cui un quarto gestiti da compagnie assicurative operanti comunque in concorrenza con altri
intermediari, l’attenzione delle compagnie assicurative andrebbe riservata al terzo pilastro, quello dei piani individuali pensionistici con contratti che possono essere stipulati direttamente dal lavoratore.
Uno strumento dalle potenzialità interessanti, ma in parte inespresse; e il cui ruolo potrà essere validamente valorizzato da una più ampia diffusione di conoscenze finanziarie nell’ambito di un piano nazionale di educazione finanziaria, così come previsto dalla disposizione normativa di inizio anno e da quella successiva dello scorso agosto che hanno istituto il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, nominandone, poi, i relativi componenti.
C’è, infine, il delicato capitolo dei disastri naturali, che vede esperienze già diffuse di assicurazione su base obbligatoria in alcuni Paesi, come la Turchia, la Francia e la Nuova Zelanda. Un ambito in cui in Italia, invece, non è previsto alcun ruolo per il settore pubblico, nonostante l’esperienza significativamente tragica di dieci terremoti devastanti registrati negli ultimi 50 anni.
Su questo specifico fronte, nota il presidente dell’Ivass «vi è grande disparità nei rischi di disastri naturali sul territorio, sicché i premi assicurativi calcolati sulla base del rischio sono molto variabili».
In assenza di una assicurazione obbligatoria, che suscita non poche perplessità in un Paese come il nostro in cui anche «l’assicurazione obbligatoria sui veicoli viene vissuta come una tassa», la necessità di trovare una soluzione che accontenti i soggetti coinvolti, lo Stato, gli abitanti delle zone a maggior rischio, quelle delle zone a minor rischio e le compagnie assicuratrici, forse può essere trovata sul versante della prevenzione.
La soluzione individuata da Rossi, articolata in un sussidio statale a investimenti obbligatori per tutti in dotazioni antisismiche e antialluvionali con una riduzione dei premi assicurativi, potrebbe evidenziare vantaggi significativi
per i diversi soggetti coinvolti. Una soluzione di collaborazione pubblico-privato che naturalmente dovrebbe trovare la propria collocazione in un’adeguata cornice normativa, stabilendo modalità di intervento alla luce di stime appropriate sui costi per la collettività e per i singoli cittadini.
Come si vede, in defi nitiva, gli esempi di nuove opportunità su cui si è soffermato Salvatore Rossi rappresentano tre sfide avvincenti per rinnovare il modello di business assicurativo italiano, ma anche altrettante occasioni per permettere al Paese di non sfigurare nei raffronti internazionali di settore, contribuendo a promuovere nello stesso tempo il suo sviluppo economico e sociale.
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